PROCESSO AL MOVIMENTO DI LOTTA DI NAPOLI E PROVINCIA VERTEZA EX BROS

Schizzi – reiterati – di fango da restituire al mittente.

Da mesi si trascina – stancamente – presso il Tribunale di Napoli il secondo procedimento giudiziario in cui
le lotte e, le mobilitazioni e i processi organizzativi dei disoccupati napoletani sono vivisezionati e
accomunati ad una presunta “Associazione a Delinquere” con il relativo corollario di “estorsione” ed altri
accostamenti di “tipo criminale”.
In queste settimane si sono conclusi gli interrogatori degli accusati, sono state ascoltate le parti e i vari
testimoni richiesti sia dalla Procura e sia dal collegio di difesa.
Per il prossimo 12 settembre sono previste le richieste di pena in relazione ai reati ascritti agli accusati.
Siamo – dunque – ad un passaggio giudiziario importante di una Inchiesta che, ancora una volta,
intendiamo demistificare pubblicamente ricostruendo le vere motivazioni che sottendono a questa che
– possiamo affermarlo con tranquillità – si è sempre configurata come una autentica provocazione
giudiziaria ed intimidatoria contro le lotte e ogni possibilità di organizzazione collettiva.
Più specificatamente, la Procura della Repubblica partenopea, ha messo sotto accusa l’esperienza del
Coordinamento di Lotta per il Lavoro (e di altri aggregati di disoccupati organizzati) che hanno animato il
ciclo di mobilitazione che per circa 20 anni ha attraversato l’area metropolitana napoletana.
Un ciclo che, da qualche anno, ha conquistato il diritto al lavoro ad alcune migliaia di disoccupati nel
comparto della “Manutenzione Stradale della Campania”. Una esperienza di lotte, di contenuti politici,
sociali e di emancipazione collettiva che continua – per quanto riguarda la maggioranza delle lavoratrici
e dei lavoratori di questo comparto – nell’impegno con l’Unione Sindacale di Base.
L’attuale procedimento giudiziario – nato nel 2013 e condotto dal Pubblico Ministero Raffaele Tufano –
è sostanzialmente una “fotocopia aggiornata” di una inchiesta simile che già nel 2003 (allora i PM erano
Federico Cafiero De Raho e Alessandro Milita) aveva tentato di equiparare le lotte dei senza lavoro ad
una pratica criminale.
Infatti – sia nel 2003 e sia nel 2013 – la Procura della Repubblica (maneggiando artatamente e
stravolgendo relazioni DIGOS, articoli di stampa, dichiarazioni di esponenti politici ed istituzionali) ha
provato a confezionare una incredibile ipotesi accusatoria fondata su articoli del Codice Penale che –
abitualmente – vengono adoperati per le inchieste contro la Camorra.
Una modalità astuta ed infamante che – in un contesto territoriale e sociale come quello di Napoli e della
Campania dove esiste una presenza strutturale della “criminalità organizzata” – è palesemente
offensiva, non solo per chi riceve questo tipo di accusa, ma per il complesso delle ragioni sociali e
programmatiche che le lotte dei disoccupati organizzati esprimono, pur in contesti storici e temporali
diversi, da oltre 50 anni.
Non è un caso la Procura della Repubblica (a dieci anni di distanza e con responsabili degli uffici giudiziari
diversi) ha tentato, per ben due volte, di allestire questa montatura.
Siamo convinti che l’obiettivo – esplicito e prioritario – di tali inchieste non è la mera repressione contro
le lotte.
Nel corso di circa 20 anni la polizia, i carabinieri e il Tribunale hanno rotto la testa, manganellato,
arrestato, commutate pene detentive, sanzioni amministrative e denunciato centinaia e centinaia di
disoccupate e disoccupati. Sono stati elargiti anni di carcere, arresti domiciliari e ogni tipo di

persecuzione penale. Alcuni compagni hanno il primato, poco confortante, di essere tra gli attivisti
sociali che hanno “collezionato” il maggior numero di denunce e procedimenti giudiziari in Italia.
Insomma se c’è un fattore materiale che non è mai mancato nello scenario sociale napoletano è stata la
presenza costante della repressione ad opera dei diversi apparati dello Stato.
Tale costante però non è bastata agli strateghi della mistificazione e della criminalizzazione del conflitto
politico e sociale.
Per queste “teste d’uovo” occorreva ed occorre un atto, un sigillo e, meglio ancora, una formale
Inchiesta Giudiziaria che sancisca – per oggi e soprattutto per domani – che chiunque si organizza per
rivendicare un diritto è, automaticamente, un “criminale” e un “camorrista” da combattere a priori.
Si vuole ad ogni costo cancellare la memoria delle lotte, si vogliono opacizzare e distorcere i contenuti
sociali e si vuole spezzare quel “filo rosso” che – nel corso dei decenni – nell’area napoletana ha
consentito a migliaia e migliaia di senza lavoro, di precari e di senza niente di organizzarsi e rivendicare
tutt’insieme diritti, lavoro e dignità.
Diventa, quindi, politicamente importante continuare a monitorare il “percorso giudiziario” di questi
processi che tentano di imporre un'altra verità, un'altra narrazione ed un “senso comune” falso e
depistante.
Del resto – anche recentemente verso i disoccupati organizzati che attualmente sono impegnati in una
Vertenza (il Movimento 7 Novembre e il Cantiere 167) la Procura ha tentato di imbastire una Inchiesta
che riflette le due che abbiamo illustrato ma – da quel che conosciamo – sembra che il procedimento sia
caduto e i compagni interessati sono stati prosciolti.
E’ evidente – allora – che non lasceremo procedere, sotto silenzio, queste Inchieste ma, già dal prossimo
Settembre in occasione della ripresa del Processo, organizzeremo un momento pubblico di denuncia, di
approfondimento e di discussione su questa scoperta involuzione antidemocratica del diritto e delle
relazioni sociali e sindacali nel nostro territorio.

Napoli, 17/5/2023